Ricerca approfondita sui vocaboli lombardi e non solo
- 31 ottobre 2024
Nella ricca biblioteca del Ducato è presente un libro dello scrittore Gabriele Rosa dal titolo: «Dialetti, costumi e tradizioni nelle provincie di Bergamo e Brescia». L’autore, bresciano di Iseo (1812 – 1897) va alla ricerca di segni caratteristici «nei dialetti, nei costumi, nelle tradizioni di quel gruppo di popoli che si dicono Cenomani, ed i cui confini sono segnati dall’Adda e dal Mincio, perché oltre quei fiumi le pronunce sono sì spiccatamente diverse, da palesare originarie diversità di stirpi predominanti.»
La pubblicazione è preziosa perché: a) risale al 1850 (e leggendola si nota una prosa molto ricercata, difficile da trovare in quelle dei nostri giorni); b) mostra un’accurata ricerca sulla possibile origine di molti termini dialettali che usiamo ancora oggi. Infatti nell’introduzione Rosa dice: «Le vecchie radici tedesche nei parlari nostri non somigliano nella pronuncia al gotico, al franco, al tedesco dei sette e tredici Comuni vicentini, ma bensì all’anglosassone... tali voci ci vennero coi Longobardi, i quali abitarono sull’Elba commisti ai loro germani, gli Inglesi.» Gli studi fatti convincono l’autore che i dialetti sono importanti come le lingue nazionali; dice che «Come nella lingua ungherese e slava, la ricchezza comparativa delle voci ed immagini riferentisi alla vita pastorale e cacciatrice, è documento delle abitudini nomadi prevalenti nei Magiari e negli Slavi... i vernacoli nostri serbano copia di voci tolte alle qualità degli animali, voci i cui corrispondenti mancano alla lingua italiana.
Eccone un saggio: Sgatinà, rubare destramente, dal gatto. - Scavresà, saltellare, dalla capra. - Orzà, mal menare, graffiare, dall’orso. - Grignà, ridere continuo, dal grillo...» Nella prefazione all’edizione del 1857 Gabriele Rosa elenca gli studiosi ed i parroci che dalle Valli del bergamasco e del bresciano inviarono «nuovi elementi lessicali»: tra costoro figura anche Antonio Tiraboschi. Così, in un centinaio di pagine, troviamo raccolti - in ordine alfabetico - più di mille vocaboli provenienti dalle valli delle due province: molto meticolose le spiegazioni fornite perché per ogni vocabolo è indicata la valle o la provincia di provenienza e, per alcuni, anche la probabile derivazione.
La copertina del libro "Dialetti, costumi e tradizioni nelle provincie di Bergamo e Brescia"
Per curiosità del lettore riporto alcuni di questi vocaboli, scelti tra i più comuni del nostro parlare:
CAÀGNA – grande cesto, da cavus. Dante inf. ringavagna per rimettere nel canestro.
CARAFA – bicchiere grande, ma è più probabile sia variante di carapa o crapa teschio, a ricordare l’uso barbaro di bere dai teschi dei nemici uccisi.
PIRÙ - forchetta, dal celtico pir-punta, come la pira, onde i Pirenei.
ROGNÀ, bresciano – brontolare sordo a guisa di ringhio. SLÈPA – schiaffo, ingl. Slap, ted. Slag. Alapa in Giovenale.
Ma gli studi di Rosa non finiscono qui, perché si estendono anche alla pronuncia. Rileva infatti che «noi usiamo la «s» sibilata in principio ad alcuni verbi ad esprimere intensità e continuità d’azione, come i tedeschi usano sch, però diciamo sbregà, sberpà, schincà, per rompere violentemente, svergolà, sventrà, sbudelà per piegare con forza, sventrare, sbudellare.» In effetti, col passare del tempo, i dialetti si modificano perdendo le forme di «rusticità» ed avvicinandosi alla lingua comune; e quei modi e suoni «nei secoli scorsi volgari in quasi tutte le valli lombarde ora rimangono solitari in paeselli romiti.» A questo punto l’autore, riferendosi alla pronuncia nelle varie province, esamina tutte le differenze che esistono tra milanese, bresciano e bergamasco.
Tra le altre, questi ultimi usano la «i» in molte parole che in italiano hanno la «e»: sira, vira, prisa, per sera, vera, presa; così pure i milanesi: mi, ti, per me, te. Ma a Bergamo si verifica anche il contrario, cioè la «e» per la «i»: Luséa, Maréa, per Lucia e Maria. Ancora, i bergamaschi – in alcune parole – pronunciano la «e» dove i bresciani la «i»: carestéa, alegréa, ostaréa, per carestia, allegria, osteria.