Curiosità

Quando la casa del Duca divenne un ristorante

di Pier Carlo Capozzi
- 20 marzo 2025
Quando la casa del Duca divenne un ristorante
Immagine d’epoca del ristorante la cui storia si intreccia con il nostro Ducato

Questa mia storia di famiglia ha origini lontane, collocate il 26 ottobre 1952 (non avevo compiuto il primo anno), quando venne incoronato Duca, il quarto, Ludovico Quadri col nome di Ludovico I. Quadri aveva una cartolibreria in via dei Mille, l’attuale via Paglia, e curava la stampa raffinata dei menù in occasione di pranzi ducali. Da perfetto anfitrione, nel novembre del ’47, allestì e mise a disposizione degli amici una “Taverna ducale” nella sua casa di Colle Aperto, locale che venne affrescato dal pittore Eugenio Bertacchi con ben 41 figure tra personaggi ducali, maschere e scenette varie. Già mecenate e grande animatore, il gesto generoso della Taverna non fece che spianargli ulteriormente la strada per la sua nomina plebiscitaria a Duca.

Quel locale affrescato, pochi anni dopo, insieme al resto della residenza, diventerà un albergo ristorante con bar e gelateria, gestito dai miei genitori, Elena e Pino, la nostra abitazione e il mio punto di partenza verso le vicinissime elementari “Costantino Beltrami”, in classe col maestro Boroni, collega di Coriolano Mazzoleni, poeta dialettale e direttore del “Giopì” nel 1949. A farmi sentire ancor più vicino Ludovico I c’era il suo motto “Vogliamoci bene”, identico a quello di mio nonno Martino che ci aggiungeva “...che non costa niente”. Ecco quindi come abbia potuto respirare a pieni polmoni il clima del Ducato di Piazza Pontida fin da piccolo. Il “Ducale” era un locale assai discreto, con un ristorante che strizzava l’occhio alla banchettistica e un bar che funzionava alla grande, soprattutto nelle sere in cui il televisore (un lusso per l’epoca) trasmetteva “Lascia o raddoppia?” con notevole affluenza di clientela e incremento dell’incasso a botte di caffè, amari e grappini. Per quanto riguarda la gelateria, non lo dico per affetto filiale, ma mio padre, che aveva imparato l’arte in esperienze precedenti nella sua natìa Puglia, confezionava un gelato strepitoso.

immagine d’epoca del ristorante la cui storia si intreccia con il nostro Ducato
immagine d’epoca del ristorante la cui storia si intreccia con il nostro Ducato

E poi c’era il clan dei vitelloni (il Gerry, l’Artista, il Vigile, il Musicista e altri ancora), quelli che tiravano notte con poche consumazioni, ma erano una certezza e facevano tanta compagnia. L’unica, imprescindibile condizione era che non alzassero troppo la voce quando giocavano a carte: mia madre doveva mettere a nanna mio fratello, nato da poco, e il Pino non tollerava disturbi alla quiete familiare. Una volta, giusto per movimentare un po’ gli affari, nella sala ristorante si organizzò un incontro di boxe, con le corde tenute franche dai tavolini e un mestolo con coperchio a fare da gong. C’era di tutto un po’, al “Ducale”, con quella leggerezza che cercava di soffocare le difficoltà.

Ma era davvero dura, tanto che, per ridurre i costi, spesso si faceva un salto dall’Enea, il salumiere, anche per un paio di etti di prosciutto crudo. All’ultimo momento mio padre le aveva tentate tutte, anche di chiedere lo spostamento del capolinea del filobus davanti al suo locale, nella speranza di toglierne qualcuno alla gelateria dall’altra parte della porta, regina incontrastata di tutto lo slargo panoramico. Ma, ovviamente, la richiesta non ebbe parere positivo. Credo che uno dei rimpianti di mio padre fosse quello di non essere riuscito a mantenere, tra quelle mura, lo stesso clima di gioiosa convivialità della Taverna di Ludovico I anche se, certamente, gestire un locale è faccenda ben più complicata.

Il Duca Quadri, come scritto, gestiva all’epoca una cartolibreria in via dei Mille e gli stessi soldati di Garibaldi, avendo perso l’intitolazione della strada (diventata via Paglia) acquisirono però, a vent’anni dalla sua incoronazione, quella di un albergo in via Autostrada, sempre gestito, ma con fortuna maggiore, dalla mia famiglia. E qui penso proprio che il cerchio si possa chiudere, lasciandomi una scia infinita di ricordi, struggenti e gradevoli perché filtrati con gli occhi di un bambino.

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