Il corteo raggiunge le diverse frazioni tra suonatori di fisarmonica e maschere arcaiche. Un confronto tra la gravità della sapienza e i bisogni e le tentazioni del mondo
Dopo anni di pausa ha ripreso vigore uno degli appuntamenti più antichi e densi di significato delle nostre valli
C’è questo vecchio con il cappello e con il bastone grande, che va su e giù per la contrada con un passo veloce, ritmato, e che sulle spalle porta un grande mantello scuro, come un gabà di pastore, e allacciato in vita ha un campanaccio. Lui sale e scende e il campanaccio sbatacchia e il suono riempie la contrada. Quando il vecchio ti passa accanto avverti il suo brontolio profondo, continuo, intenso. Non parla con nessuno e non guarda nessuno. Soltanto cammina e corricchia con il suo campanaccio e il bastone. Il suo mormorare sembra qualcosa che ha che vedere con il passare della vita, che sembra lo scorrere di un torrente, che non si ferma mai. Ma è anche un ammonimento alle fanciulle e ai diavoletti e alle altre maschere antiche di questo carnevale di Valtorta che è antico come il carnevale del mondo. Qui non c’è la commedia dell’arte, qui si risale ancora più indietro. Niente Brighella, niente Arlecchino, né Colombina. Solo maschere arcaiche, uomini travestiti da donne, camuffati anche nella voce. Contadini e contadine che hanno radici nei millenni. Il prete che ti confessa e poi ti assolve a patto di quarantatré pater, ave e gloria. Le false femmine procaci e disponibili. Perché il Carnevale è anche sessualità, è anche trasgressione.
Un momento del carnevale di Valtorta
Siamo a Valtorta, è sabato 8 marzo, ultimo giorno di carnevale ambrosiano e, casualmente, anche giornata della donna. A Valtorta dopo un periodo di smarrimento. È una rappresentazione della vita del paese e non soltanto: ci sono le componenti della vita agricola, della famiglia, della religione, delle tentazioni, dei castighi. E allora ecco nel corteo i diavoli e i diavoletti vestiti di rosso, il vècio che con il bastone e il campanaccio e il suo incedere segna lo scorrere incessante del tempo, la gravità dell’esistenza. Al di là di tutto, dei lazzi, dei giochi, delle musiche, delle tentazioni, dell’erotismo, dei peccati e degli angeli. Dietro al Vecio si snodano la sua consorte, la Ègia, ol barba e la meda (lo zio scapolo e la zitella), la pöta (la ragazza), i spusì (i giovani sposi), i sunadùr (i suonatori), ol bergamì (mandriano), ol pastùr (pastore), ol barbér (barbiere), la còmar (la levatrice), e quindi altre figure. E poi Ol diàol principale, seguito dai diavoletti, i diàol furchetì, che assalgono le donne impaurite cercando di trascinarle all’inferno… Il passava anticamente il confine tra Ducato di Milano e Serenissima Repubblica di Venezia e qui si è continuato nei decenni a seguire il rito di Sant’Ambrogio.
Ol Vècio col bastù
L’appuntamento è in paese, il corteo si compone e si dirige verso le contrade. È un carnevale della tradizione, vecchio di secoli, ma che soltanto negli ultimi anni ha ripreso vigore Vècio non soltanto indica l’ordine inesorabile del tempo, ma ha un ruolo anche nello scacciare il diavolo e i diavoletti… l’autorità della saggezza si impone sopra tutto. Fatto il giro delle frazioni, Grasso, Cantello, Rava, Forno Nuovo e la Torre si torna a Valtorta per un grande girotondo intorno al fuoco, al falò in piazza. Alla fine di questa mascherata rimane una suggestione: l’avere in qualche modo sfiorato aspetti essenziali del nostro essere, di avere fatto emergere, in modo giocoso, movimenti inconsci che decidono molto della vita di ognuno di noi.