Piero Zani ha ottant’anni e non se la sente più di portare avanti lo spettacolo, ora tocca ai giovani. Le sue “baöte” arcaiche di cartapesta stanno nelle ceste insieme ai copioni
Piero Zani alla sua casa con l’uomo selvatico
L’Arlecchino entrava per primo con un bastone e disegnava un cerchio magico attorno a sé. Seguiva fragorosa una scampanellata che annunciava l’arrivo dei personaggi: c’era il minatore con la sua lanterna luminosa, un vecchio ubriacone (il vècc ciochetù) e una vecchia, seguiti dalla figlia e il moroso. Non mancavano neppure la morte, il diavolo e l’angelo che precedevano l’asino, il dottore, il notaio e il prete. Iniziava così la rappresentazione dell’ antica mascherata di Dossena, il carnevale contadino che festeggiava la fine dell’inverno e di cui si hanno tracce anche nei secoli scorsi. Era un momento gioioso che propiziava l’inizio della primavera e coinvolgeva l’intera comunità. Tre anni fa si sono spente le luci sull’ultima mascherata e i costumi, le scenografie, le maschere sono finite in un baule. Piero Zani ha partecipato a tutte le ultime mascherate ed è un testimone del patrimonio della rappresentazione. Racconta nella sua casa che sembra un museo: “Sono l’unico abitante di Dossena che ha assistito a tutte le mascherate dal 1950 in poi; la mia mamma era la cuoca, quella che, finita la festa, quando le stradine si svuotavano e restavano solo i coriandoli ai margini dei marciapiedi, preparava la cena a tutti. Mio padre invece suonava la fisarmonica e partecipava alla messa in scena vera e propria”.
La casa di Piero Zani è magica, piena di oggetti vecchi e antichi. Ed è sempre stata aperta per tutti. Piero, oggi ottantenne, ha scritto tanti testi delle Mascherate. Racconta: “Lavoravo un anno per scrivere il nuovo spettacolo e un mese intero per elaborare musiche, maschere e abiti di tutti i personaggi. Pensi che dagli Anni Cinquanta fino ai Settanta tutte le trame delle maschere erano in italiano, poi un certo Alberto Filippini iniziò di nuovo a utilizzare il dialetto bergamasco e noi abbiamo continuato”. Le esibizioni avvenivano in diverse contrade di Dossena: Mülì, Costa della Villa, Cà Astori, Adelvai... “Ci siamo esibiti con qualsiasi temperatura, una volta anche a meno 15 gradi, con la neve alta. E ogni recita durava almeno un’ora, ma ci divertivamo così tanto che non sentivamo la fatica. C’era gente che arrivava da fuori provincia, da Milano, ad esempio. Ogni famiglia del paese dava una mano, chi cucinava, di dipingeva le maschere, chi si dava da fare per i costumi, chi suonava”. I temi scelti e sviluppati nei dialoghi dei personaggi traevano spesso spunto dai fatti quotidiani “Come quella volta che abbiamo preso di mira un imbianchino del paese che si spacciava veramente per un fine pittore d’arte figurativa.
Maschere tipiche conservate da Piero
O quando abbiamo messo sulle spalle della maschera del prete una bambola gonfiabile nuda e le signore del paese che si erano adoperate per un momento conviviale, hanno ritirato il rinfresco in fretta e furia. Ma quante risate, e le persone venivano a ringraziarci, facevano festa con noi”. Tempo addietro la mascherata era forse l’unico momento, per chi abitava in montagna, per concedersi degli eccessi, c’era chi si nascondeva nelle stalle travestito da caprone e faceva spaventare i contadini o chi coperto dalla maschera avvicinava una ragazza per strappare un appuntamento “In questi anni ho sempre rappresentato la maschera della Ègia e Luigino Arcaini, faceva il vècc. Poi si suonava, io mi destreggiavo con la fisarmonica nelle ballate tipiche bergamasche. Eravamo comunque tutti uomini a rappresentare anche figure femminili”. Il bravissimo artista Filippo Alcaini, fratello di Luigino, che alla fine degli anni Sessanta, ricompose il Gruppo della Mascherata di Dossena, scrisse diverse trame delle mascherate e contribuì a costruire le baöte (le maschere della tradizione popolare locale), oltre che a disegnare i costumi. Zani si è posto in sintonia con Alcaini “La mia famiglia ha sempre condiviso questa passione con me, mia moglie cucinava, mio figlio e mio nipote suonavano, la nostra casa restava aperta tutto il giorno, se non si mangiava si suonava, ci si sedeva al tavolo a contarla su”. Ora la Mascherata dorme come le maschere di cartapesta nella casa del Piero. Però è concreta la speranza che qualche giovane del paese si impegni per rinnovare la tradizione che dentro di sé porta la memoria dei secoli.