In un ameno anfratto della valle Serina, ove scorre la strada maestra che da Algua conduce a Selvino passando per Ambriola e Rigosa, in un luogo con alta umidità d’estate e rigido clima invernale (con tanto di brina aggrappata ai muri delle poche case), v’è un luogo che aleggia di mistero, detto la valle Pagana, nome assai curioso che ci giunge sin dalle carte del 1400. La val Pagana, teatro di un orribile leggenda atta a spiegare la presenza di strani incavi presenti nella roccia, che oggi sappiamo essere resti di antichi fossili di superficie, ma che un tempo erano credute le orme del diavolo che in una tetra notte, apparso come un bel giovanotto, convinse una ragazza a seguirlo per renderla felice, trascinandola invece con sé all’inferno eterno. Leggende che nascevano per consegnare ai figli una morale comportamentale.
Ma torniamo alla storia, quella documentale. Il toponimo Val Pagana compare nelle carte soltanto dalla prima metà del 1400. Infatti, sin dalle origini, questa zona portava un altro nome, quello di «Domaculti». Alcuni hanno ipotizzato che l’assonanza del binomio «Doma culti» (contenente un vago riferimento al «culto» in senso religioso) con «Val Pagana», avesse una connessione con dei particolari riti pagani un tempo praticati in quel luogo. Niente di tutto ciò! L’abate Ronchetti, nel suo libro «Memorie Istoriche» del 1807, afferma che il nome «Domaculti» fosse in riferimento ad un terreno lavorato per conto di un padrone (sistema feudale); per cui «Doma culti» non sta per «casa di culto» ma per «casa abitata dai contadini che coltivavano la terra per un feudatario». Altre carte ci informano che questa terra appartenesse alla Diocesi di Bergamo, donata già da Carlo Magno e rimasta alla curia sino all’avvento dell’età dei Comuni. Ma come mai poi venne ribattezzata val Pagana? Tutto inizia nel 1395 quando i Visconti di Milano, allora padroni di Bergamo e provincia, impongono a tutti i comuni di mettersi d’accordo ed assegnarsi dei confini precisi. Fu così che questa zona, prettamente boschiva, finì per essere contesa da tre comuni: Sambusita, Costa, Bracca.
Questo terreno venne aggiudicato al comune di Costa, facendo scattare una serie di beghe giudiziarie che si protrassero per quasi settant’anni, proseguendo anche con l’avvento a Bergamo dei veneziani dal 1428. Molti documenti riguardanti le beghe per lo sfruttamento di questa valle si trovano proprio negli archivi di Venezia. «Pagano» deriva dal latino «paganus», un aggettivo riguardante qualcuno che proviene dai villaggi di provincia (per cui il «campagnolo» o il «montanaro»). «Paganus» deriva, a sua volta, da «Pagus» (villaggio). Quindi, considerando che le beghe riguardanti lo sfruttamento della zona «Domaculti» protrassero i propri echi sino alle magistrature venete, il nome Val Pagana deriva dal semplice fatto che tale questione era un bisticcio riguardante i «pagani» nel senso di «persone litigiose che abitano nei villaggi di provincia».
Riguardo alla soluzione a tale questione così ci riassume, nel 1595, il capitano Veneto designato al controllo di Bergamo, Giovanni da Lezze, nella sua relazione: «...il comun della Costa ne ha ancora de proprij come Valpagana che è un bosco di circuito 4 milia in circa del quale hanno litigato per spazio de 70 anni con lì comuni di Braccha et Sambusita; finalmente si sono accordati dando a Sambusita scudi 1.500 et a Bracca et Trivolo scudi 500 et con questo il comun della Costa è restato patrone...». Dai documenti risulta che i processi giudiziari riguardanti questa faccenda furono ben... 23!