Attualità Cittadina

Quali cittadini meritano un monumento a Bergamo?

di Paolo Aresi
- 15 marzo 2025

Abbiamo bisogno di un giardino della memoria nella nostra città, semplici statue che ci ricordino quello che di meglio possiamo essere.

Negli ultimi decenni Bergamo non ha più celebrato con monumenti i suoi cittadini che hanno lasciato un’impronta positiva e forte da noi, in Italia, nel mondo. Si era parlato di un monumento a Gimondi, e ancora lo stiamo aspettando. Oggi si vocifera di questa statua per Gasperini, allenatore dell’Atalanta, un po’ come a Leicester la fecero per Ranieri. In realtà abbiamo bisogno di monumenti, di oggetti che ci ricordino persone che hanno incarnato l’intelligenza, la determinazione, l’umanità: questo momento culturale ne ha davvero grande necessità. Abbiamo bisogno di un giardino della memoria dove incontrare queste persone e magari riflettere, confrontarci. Potrebbe sorgere al Piazzale degli Alpini, che già doveva essere luogo della Memoria. O magari altrove, non importa il luogo preciso. Che sia il Parco Suardi o il centro cittadino. Ma sarebbe importante. Noi lanciamo un appello ai bergamaschi, facciamo un sondaggio: chi secondo voi è meritevole di un monumento in città? Parliamo di persone vissute nel Novecento e proponiamo degli esempi, delle possibilità. Abbiamo individuato nove figure di persone che hanno dimostrato delle qualità particolari nei loro campi e sono state riconosciute come persone ricche di profonda umanità, di generosità. Sono Lydia Gelmi Cattaneo, Felice Gimondi, Ferruccio Galmozzi, Giacomo Manzù, Gian Andrea Gavazzeni, Betty Ambiveri, Alberto Vitali, Lucio Parenzan, Trento Longaretti. Nell’elenco non c’è il nostro Papa Giovanni XXIII perché la città gli ha dedicato l’ospedale, con tanto di statua e bellissimo dipinto. Ma si potrebbe anche aggiungere. Vediamo adesso di conoscere insieme questi personaggi, in attesa di ricevere le vostre indicazioni.


Lydia Gelmi Cattaneo

Lydia Gelmi Cattaneo giopì

Nel 1974 Lydia è stata inserita nell’elenco dei Giusti tra le Nazioni perché durante la Seconda guerra mondiale ha contribuito a salvare decine di ebrei e dissidenti bergamaschi dalle deportazioni nei lager nazisti. La sua storia ha cominciato a emergere dai primi anni Duemila, dopo la sua morte: era una persona riservatissima e non amava che si parlasse di quanto aveva fatto. Era nata a Presezzo nel 1903, aveva sposato Camillo Cattaneo, un tenente degli alpini, ebbe quattro figli. Era una donna vivace, continuò a studiare, ad avere una vita curiosa e attiva. Come miniaturista era nota a livello internazionale e persino lo Scià di Persia la invitò a Teheran. Fu amica di Angelo Roncalli, futuro Papa Giovanni. Nel 1932 fu la prima donna bergamasca a ottenere la patente di guida. A casa sua si trovavano molti intellettuali, anche di regime. Frequentava Curzio Malaparate e Gian Galeazzo Ciano, ma anche amici di origine ebraica. Quando vennero promulgate le leggi razziali, nel 1938, decise di aiutare gli ebrei in difficoltà. E quando la persecuzione divenne terribile e sistematica, dopo l’8 settembre 1943, Lydia accolse ebrei nella sua casa a Ponte San Pietro. Era tra i protagonisti di una rete clandestina che cercava di salvare i perseguitati, rete di cui con ogni probabilità facevano parte diversi sacerdoti come don Antonio Seghezzi, don Tranquillo Dellavecchia e don Bepo Vavassori. Nel 1956 Lydia andò a vivere nel palazzo-castello di Valverde in città. Morì nel 1994. Nel Giardino dei Giusti di Gerusalemme in ricordo di Lydia venne piantato un carrubo.


Felice Gimondi

Felice Gimondi un campione anche nella vita

Il campione di ciclismo non ha bisogno di grandi presentazioni: è stato lo sportivo più amato in Italia per lunghi anni ed è ancora vivo nella memoria non soltanto dei bergamaschi. Gimondi è stato amato certamente per le sue vittorie, ma anche per le sue sconfitte. Il suo palmares lo pone tra i grandi del ciclismo mondiale: vinse tre Giri d’Italia, un Tour de France, una Vuelta di Spagna, tutte le classiche, il campionato del mondo 1973. E bisogna aggiungere innumerevoli piazzamenti. Si trovò a competere con il più grande ciclista di tutti i tempi, Eddy Merckx, e con lui avviò un duello epico. Gimondi era un campione, Merckx era il campionissimo. Il pubblico rimase incantato dal campione bergamasco per la sua tenacia, la capacità di soffrire e di reagire anche davanti alle sconfitte. Per la sua generosità. Forse fu con Gimondi, quintessenza del meglio dei bergamaschi, che nacque il motto: mola mìa. Gimondi non mollava mai. E alla fine si prese belle rivincite: la costanza, la dedizione, la serietà lo portarono a nuove splendide affermazioni nella seconda parte della sua carriera, piegando anche la potenza di Eddy. Le doti sportive di Felice si confermarono nella vita normale: fu sempre rispettoso, modesto, mai sopra le righe.


Ferruccio Galmozzi

Ferruccio Galmozzi primo sindaco di Bergamo dopo la Resistenza

Un politico dalla schiena dritta, il primo sindaco di Bergamo dopo la Resistenza. Nato nel 1889, morì nel 1974; partecipò alla Prima guerra mondiale come medico nel corpo degli alpini. Nel 1917, durante una licenza, sposò la compagna di studi Lizaveta Ghelfebein, che era originaria di Odessa, cittadina russa di origini ebraiche. Dopo il settembre 1943 Liza venne nascosta nel convento delle suore Orsoline di Gandino. Il figlio Nicola, partigiano di Giustizia e Libertà, venne arrestato e rimase per tre mesi nel carcere di San Vittore a Milano. Ferruccio Galmozzi era medico primario del sanatorio dell’ospedale di Bergamo e in questo ruolo riuscì ad aiutare diverse persone perseguitate. Divenne rappresentante della Democrazia Cristiana nel Comitato di Liberazione Nazionale nell’aprile del 1944. Nel 1946 il dottor Galmozzi ottenne il massimo delle preferenze alle elezioni comunali di Bergamo e fu eletto sindaco, confermato nel 1951 fino al 1956. Fu un periodo complesso in cui anche Bergamo cercava di riemergere dall’oscurità del fascismo e dalla devastazione della guerra. Lui e i suoi assessori rinunciarono sempre all’indennità economica prevista dalla legge. Nel 1958 rifiutò la candidatura al Senato.


Giacomo Manzù

lo scultore Giacomo Manzù

La fama dell’artista è di livello internazionale. Manzù era nato in borgo Sant’Alessandro nel 1908, dodicesimo figlio di Angelo Manzoni, sagrestano e calzolaio, e di Maria Pesenti. Da ragazzo imparò l’arte dell’intaglio da un parente falegname. L’avvicinamento alla scultura avvenne durante il servizio militare che Manzù affrontò a Verona. Finito il periodo di leva, andò per un breve periodo a Parigi e quindi a Milano dove ebbe i primi lavori. Nel 1933 espose alla Triennale di Milano e l’anno dopo fece la sua prima mostra con il pittore Aligi Sassu, con il quale condivideva lo studio. Nel 1938 iniziò la celebre serie dei cardinali e quindi realizzò numerose Deposizioni e Crocifissioni che furono esposte nella città meneghina nel 1942: le opere furono aspramente criticate sia dalle autorità ecclesiastiche che da quelle politiche. Ottenne la cattedra di scultura all’Accademia di Brera, ma nel 1943 si ritirò a Clusone. La stima che di lui aveva monsignor Angelo Roncalli, Papa Giovanni XXIII, lo condusse in Vaticano dove realizzò la Porta della Morte della basilica di San Pietro, considerata il suo capolavoro. Nel 1973 il Museo di arte moderna di Tokyo gli dedicò una mostra personale. Nel 1977 realizzò il monumento al Partigiano che ammiriamo nel centro di Bergamo. Dodici anni dopo, a New York, davanti alla sede dell’Onu, venne inaugurata una sua grande scultura in bronzo, alta ben sei metri. Morì nel 1991.


Gian Andrea Gavazzeni

Gianandrea Gavazzeni giopì

Quasi coetaneo di Manzù era Gian Andrea Gavazzeni, nato nel 1909, in un altro borgo di Bergamo: Pignolo. Ma mentre Manzù era figlio di una famiglia umile, Gavazzeni apparteneva all’alta borghesia bergamasca, il padre era stato deputato al Parlamento per il Partito Popolare. In famiglia si respirava una grande passione per la musica e per il teatro. Il maestro amava ricordare di avere ascoltato da bambino in braccio alla nonna la Isabeau, opera di Mascagni. Gavazzeni era molto legato a Bergamo e lo si nota anche nei titoli delle composizioni, che spesso hanno a che fare con la nostra città (un esempio: i Concerti di Cinquandò, la località della Maresana che sta sopra la Tremana). Scrisse anche un’opera appositamente per il teatro Donizetti nel 1935. Appoggiò in seguito, insieme a Sandro Angelini, il Teatro delle Novità di Bindo Missiroli e Franco Abbiati. Lo scopo era quello di creare un legame tra i giovani musicisti e la grande tradizione del teatro lirico. Fu un tentativo di cui si parlò ampiamente. Il maestro abbandonò presto la composizione per darsi alla direzione d’orchestra. Dalla metà degli anni Trenta in avanti fu direttore d’orchestra apprezzatissimo in tutto il mondo. Nel 1948 divenne protagonista della riscoperta del grande Donizetti. Fu direttore musicale e poi artistico della Scala di Milano.


Betty Ambiveri

Betty Ambiveri giopì

Una donna che ha segnato profondamente la Bergamo del Novecento, che venne arrestata dai nazifascisti, condannata e deportata in un lager. Era nata nel 1882, studiò fino a diciotto anni e poi con il padre si dedicò alla scienza delle coltivazioni agricole e in particolare alla bachicoltura. Entrò in contatto con il mondo contadino e maturò una profonda solidarietà con le famiglie che vivevano in condizione di povertà. Cominciò a dare una mano a tutti quelli che poteva. Scoppiò la Prima guerra mondiale e Betty divenne volontaria della Croce Rossa negli ospedali militari di Bergamo dove conobbe ancora meglio don Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Nel 1941 ricominciò a fare la volontaria nell’ospedale militare della Clementina a Bergamo. Ma al constatazione della mancanza di medicinali la indusse a scrivere direttamente al duce: la risposta non si fece attendere. Con un telegramma, Berry Ambiveri venne sospesa dal servizio. Dopo l’8 settembre in casa di Betty Ambiveri si organizzò una delle prime bande di partigiani. Venne arrestata e condannata a morte il 7 marzo 1944. Ci fu una sollevazione generale a Bergamo e a Seriate e la pena capitale venne tramutata in dieci anni di carcere con deportazione in Germania nel carcere di Aichach. Fu liberata dalle truppe americana con tutte le detenute, il 24 aprile 1945.


Alberto Vitali

Alberto Vitali Autoritratto

È stato uno dei più significativi pittori della Bergamo del Novecento. Era nato in città nel 1898, come Manzù era di umili origini e come lo scultore si avvicinò all’arte facendo l’apprendista intagliatore e restauratore. La sera frequentava la scuola di arte e di disegno che si trovava in Seminario. Nel 1916 partì volontario per la Prima guerra mondiale, venne fatto prigioniero e portato in Germania. Alla fine del conflitto tornò a Bergamo. Si fece conoscere dal pubblico nel 1927 con il dipinto Valverde esposto alla galleria di Brera. Nel 1936 alla Permanente di Milano ricevette la medaglia d’oro per il dipinto “Il podere”. Un soggetto che divenne importante per lui fu quello delle “mascherate” situate in Piazza Vecchia o in Piazza Mercato del Fieno. Visse appartato, piuttosto silenzioso, con pochi amici, nella sua casa di piazza Reginaldo Giuliani. Morì nel 1974. Dieci anni fa la Gamec gli dedicò una grande mostra in Palazzo della Ragione.


Trento Longaretti

Trento Longaretti

Lo stupefacente di Longaretti è che in età anziana continuò a dipingere evolvendo la sua poetica in modo straordinari. Man mano le forme del suo dipingere si spogliavano dei limiti, dei contorni della realtà per immergersi nel colore. Longaretti, nato a Treviglio nel 1916 e morto centenario a Bergamo nel 2017, era membro di una famiglia numerosa e benestante quel tanto che bastava, il papà era fabbro, per farlo studiare a Brera; è stato direttore dell’Accademia Carrara dal 1953 al 1978 e pittore apprezzato a livello internazionale con mostre in tanti Paesi del mondo. Accademico e originale al tempo stesso, ha prodotto un gran numero di opere di cui molte sacre che si trovano in tante chiese di Lombardia. Ma il Longaretti più libero è quello dei dipinti “laici” che in qualche modo possono ispirare un senso di profonda religiosità, ancora maggiore di quelli che si trovano vicini agli altari. Viandanti, poveri, musicisti di strada, zingari, paesaggi fantastici, colori mirabolanti popolano i suoi quadri, e commuovono chi si ferma a guardarli.


Lucio Parenzan

Lucio Parenzan

È stato uno dei più grandi cardiochirurghi a livello internazionale. Parenzan si era appassionato di medicina da bambino, seguendo l’esempio del padre. Era nato a Pirano, incantevole località in Istria, oggi Slovenia, nel 1924; morirà a Bergamo novanta anni dopo. Dopo la laurea a Firenze si trasferì a Milano, quindi andò per alcuni anni all’estero, prima a Stoccolma e poi all’ospedale per i bambini di Pittsburgh dove propose un nuovo tipo di intervento per le malformazioni cardiache nei neonati. Dal 1964 lavorò a Bergamo all’ospedale Maggiore, quindi Riuniti (oggi Papa Giovanni). Organizzò due grandi simposi internazionali di cardiochirurgia nella nostra città e nel 1985 effettuò il terzo trapianto di cuore in Italia. Nel 1993 diventò direttore dell’International Heart School. In trent’anni ha effettuato trecentocinquanta trapianti di cuore. Chi lo ha conosciuto lo ha definito un grande cardiochirurgo, ma soprattutto un bravissimo medico, lungimirante nell’interpretare le necessità dei pazienti, generoso e mai geloso della propria cultura, generosità che si è manifestata anche nell’impegno per la formazione dei giovani medici, consapevole che da bravi “tecnici della chirurgia” dovevano diventare “dottori della chirurgia”.

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