Storia

Umanesimo e rinascimento nella cultura bergamasca Ep.3

di Gianni Barachetti
- 30 novembre 2024
Umanesimo e rinascimento nella cultura bergamasca Ep.3

Dal ceppo dei Barzizza doveva necessariamente germogliare una successione di personaggi di notevole impatto culturale. All’attenzione degli studiosi si pongono infatti il figlio di Gasparino, Guiniforte e i nipoti Cristoforo e Giovanni. Guiniforte rappresenta uno degli spiriti più eletti del nostro Umanesimo: come molti figli d’arte, è sin dall’inizio un ragazzo prodigio. A sedici anni infatti, tra l’ammirazione e lo stupore dei docenti dell’università di Pavia e all’insaputa dello stesso genitore, consegue la laurea magistrale in tutte le arti liberali. Scrive Carlo Pelizzoli: «Un enciclopedico, dotato di tal acutezza, sublimità e prestanza d’ingegno che potè di meraviglia riempire in brevissimo tempo il mondo tutto».

Ritratto di Guiniforte Barzizza dipinto ca 1783 - ca 1783
Ritratto di Guiniforte Barzizza dipinto 1783 - 1783

Il re d’Aragona lo chiama a sé e lo destina a governatore di Porto Venere e Lerici ove, l’eccellente uomo di lettere, si rivela anche ottimo uomo di governo. A Milano, presso i Visconti, ricopre le cariche di regio consigliere, di legato, di oratore, di senatore e di vicario generale. Guiniforte, nato a Pavia nel 1406, ancora bambino, segue il padre nello studio di Padova. Si laurea giovanissimo e scrive più che correttamente in latino, in greco e in ebraico. In virtù di tale suo impressionante bagaglio culturale viene ammesso, non ancora ventenne, fra i dottori del Collegio degli Artisti di Pavia.

Nel 1431 lo troviamo in giro per l’Italia in qualità di lettore e di commentatore del ‘De Officis’ di Cicerone e delle commedie di Terenzio. A Pavia occupa ormai stabilmente la cattedra di filosofia e di morale. Sono anni di intenso lavoro anche per il fatto che, oltre all’insegnamento, egli deve recarsi presso le diversi corti come ambasciatore del duca di Milano. Per quanto attiene alla sua morte ci sovviene una lettera di Bianca Maria Sforza in data 2 ottobre 1463, nella quale afferma che Guiniforte Barzizza ‘chiuse la vita a Milano in questo stesso anno, onorato da larghissimo rimpianto’.

Egli fu figura ben diversa da quella del padre, non assorto solo negli studi, non anima candida di educatore, non umanista nel vero senso della parola, ma personalità notissima per bagaglio culturale messo a disposizione anche della politica. Nel campo letterario si ricordano di lui numerose orazioni e le epistole, oltre all’opera ‘De liberis educandis’, unico contatto con la professione paterna. Per incarico dello Sforza scrive anche un commento alla Commedia di Dante. Di tale lavoro trattò diffusamente il Finazzi, mettendone in evidenza alcune lezioni singolari e interessanti, mentre sono andati persi i suoi saggi sui sonetti del Petrarca e le annotazioni alle opere di Seneca.

Cristoforo Barzizza nasce a Bergamo prima del 1400. Si trasferisce a Padova per gli studi, ma non appena laureatosi viene immediatamente promosso alla cattedra di lettore primario di medicina. Fattosi conoscere come medico, ma anche per il suo carattere docile e schivo, si impone alla generale attenzione per i trattati di medicina compilati in un purissimo latino. Non è un grammatico, ma uno studioso di filosofia. Nel 1499 Battista Farfengo di Brescia pubblica del Barzizza ‘Dialecticae institutiones’, mentre a Pavia nel 1494 Antonio Carcano e Ottaviano Scoto editano ‘Introductorium practicae medicinae’ e il commento al ‘Liber nonus ad Almansorem’ del Rhasis e ancora nel 1505 a Brescia viene messa alle stampe l’opera ‘Montyriana collatio: De dialecticis rethoricisque argumentationibus’.

Un certo Vincenzo Barzizza, del quale poco si conosce, compare come autore di un particolare manuale di ragioneria stampato a Venezia nel 1525.

Pure Maffeo Vegio è bergamasco a tutti gli effetti, anche se la sua famiglia emigrata a Lodi viene considerata appartenente alla storia di quella città. Nasce nel 1407 e diventa subito datario e segretario sotto papa Martino V. Numerose sono le opere da lui scritte: alcune incontrano l’onore dei torchi. Nella vita di San Bernardino egli narra come il santo si fosse adoperato per sedare le aspre lotte fra le fazioni guelfe e ghibelline bergamasche. Si muove con estrema abilità culturale nell’ambito dell’Umanesimo non solo nel settore della saggistica (basti pensare al ‘De educatione liberorum’ o al ‘Dictionarium legale et de verborum significatione’), ma anche in quello della poesia con epigrammi, epitaffi, distici ed elegie.

Suo contemporaneo è Gian Franceso Suardi, nato a Verdello nel 1422, allievo di Vittorino da Feltre, del quale sono noti alcuni interessanti componimenti e un curioso sonetto con il quale il poeta chiede lumi su una ricetta di salsa in salmì.

Fama acquisisce anche quel Giovanni Pontano che nel febbraio del 1443 pronuncia a Padova l’orazione funebre in morte del Gattamelata, mentre Jacopo Tiraboschi viene ricordato per le lodi riservate a Bartolomeo Colleoni nel ‘Carmen Saphicum de Laudibus Bergomensium contra exteros’, nel quale si legge una precisa elencazione delle nostre glorie contro i facili detrattori.

Il Tiraboschi è ospite gradito a Malpaga, così come Domenico Barile, altro umanista di casa nostra. Evidentemente il condottiero ama attorniarsi dei suoi laudatori.

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