Questa nuova messa in scena di un’opera non certo di repertorio rientra nel progetto del Donizetti Festival di recuperare un lavoro del Nostro duecento anni dopo precisi. A dire il vero Zoraida, il primo vero successo serio di Donizetti, fu rappresentata a Roma nel 1822, ripresa in una seconda versione nel 1824 che seppure riveduta e corretta ebbe stranamente un’accoglienza più tiepida.
Interessante la coproduzione con il festival irlandese di Wexford (medesima regia e scenografia) ma loro con la versione 1822 mentre a Bergamo quella del 1824. Malgrado molte traversie il debutto del 1822 fu un vero trampolino di lancio per il Nostro malgrado che a pochi giorni della prima dovette trascrivere la parte del tenore (morto!) per voce femminile detta musico oggi mezzosoprano. Parte che fu poi ampliata e modificata come il libretto per riapparire proprio in quest’ultima veste al nostro Sociale. Se la prima versione risentiva dell’influsso di Simon Mayr qui è più evidente l’influsso del Rossini serio (ed un pizzico di Mozart per l’aria di Ines). Vi troviamo invero tanta piacevole musica sia nei a solo che nei concertati ma avendo ancora nelle orecchie l’assoluta perfezione del «Devereux» il confronto per me è stato troppo disparitario.
Ove nel capolavoro tutto è essenziale, lucido, conciso ed in perfetta sintonia con il libretto qui seppur fra varie ottime premonizioni del genio futuro vi sono troppe ripetizioni, lungaggini oltre ad libretto farraginoso, (sembra che anche Stendhal si fosse annoiato ad una recita del 1824). Ambientata in una Granada sotto assedio spagnolo al tempo del regno moresco (1480) ove un usurpatore (Alzumir) vorrebbe sposare Zoraida la figlia del re spodestato. Ma lei ama Abenamet, guerriero capo degli Abencerragi l’opposta fazione di Azumir (gli Zegri). Per liberarsi con astuzia del rivale, l’usurpatore lo invia in battaglia assegnandogli in custodia lo stendardo simbolo della città. Abenamet torna vincitore ma senza stendardo (sottrattoglielo da Alì, perfido tirapiedi del tiranno), ottima scusa per condannarlo a morte per tradimento. Zoraida pur di salvare l’amato, sposa il tiranno ma scoperta nel suo ultimo incontro segreto con Abenamet (che riesce a fuggire) viene condannata al rogo.
Solo un cavaliere che accetterà la sfida con Alì potrà salvare Zoraida. All’ultimo istante, un cavaliere misterioso arriva, vince e... si rivela: è Abenamet. Alì, ferito, svela i soprusi dell’usurpatore. Finale assurdo, ove Abenamet salva il tiranno dalla folla inferocita e Zoraida può tornare fra sue le braccia. Tutto bene ma.. il tiranno resta sul trono (!). Il 1822/24 è un periodo di restaurazione politica, quindi guai ad infamare i regnanti anche se rei. Quante censure politiche subirà poi il nostro amato musicista. Di grande impatto la scenografia di Gary McCann che sposta l’assedio da Granada alla Sarajevo 92-96 e precisamente tra le macerie belliche della Biblioteca Nazionale in stile moresco. Guerre nemiche dell’uomo e della sua cultura! Di pregio anche il cast, a cominciare da Konu Kim (baritenore) dall’ampia e potente vocalità (unico neo la pronuncia da migliorare), per Abenamet una Cecilia Molinari en travesti in una parte ardua ma risolta con sicurezza grazie a pregevoli qualità espressive dalla grande agilità vocale.
A Zoraida ha dato voce e anima, la soprano Zuzana Markovà, (struggente nella romanza delle rose) una delicata ed elegante presenza portatrice anche di un certo carattere. Ottima la partecipazione dei giovani talenti della «Bottega Donizetti», Valerio Morelli (Almanzor) bellissima voce e dizione e Lilla Takas una Ines (schiava) perfetta e l’ottimo Tuty Hernàndez nei panni del truce Alì. Solito eccelso coro (tutto al maschile) dell’Accademia Teatro alla Scala diretta da Salvo Sgrò! Sul podio a dirigere l’Orchestra Gli Originali (con strumenti e sonorità capaci di far rivivere il vero suono musicale donizettiano) guidati dal Direttore Alberto Zanardi. Che combinazione, un altro bresciano (allievo del Maestro Frizza)! Grazie cugini per come amate e rispettate Donizetti. Regia intelligentemente non invasiva di Bruno Ravella. Alla fine la vetrata distrutta riappare intatta... speriamo che su questo simbolo anche la pace oggi lontana dal mondo riappaia.. ma quando? E soprattutto per quanto?